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Biodiversità

Biodiversità è una parola un po’ difficile, usata soprattutto da chi si occupa di biodiversità (ambientalisti, biologi, agronomi…). In realtà dovrebbe essere un tema ben noto a tutti, perché la biodiversità è la diversità della vita su tanti livelli, dal più semplice (geni e batteri) alle specie animali e vegetali, fino ai livelli più complessi (gli ecosistemi). Tutti questi livelli si intersecano, si influenzano a vicenda e si evolvono.

Nella storia della Terra tutto ha avuto un’origine e una fine e, in ogni epoca, si sono estinte molte specie. Ma mai alla velocità impressionante di questi ultimi anni, di mille volte superiore alle epoche precedenti. Insieme alle piante e agli animali selvatici, scompaiono le piante domesticate e le razze animali selezionate dall’uomo

Alcuni studiosi dell’Università di Stanford hanno paragonato le specie e le varietà di un ecosistema ai rivetti che tengono insieme un aeroplano. Se facciamo saltare dei rivetti, per un po’ non capita nulla, l’aereo continua a funzionare. Ma, poco per volta, la struttura si indebolisce e, a un certo punto, basta togliere anche solo un rivetto e l’aereo precipita.

La biodiversità è la nostra assicurazione sul futuro: permette alle piante e agli animali di adattarsi ai cambiamenti climatici, agli attacchi di parassiti e malattie, agli imprevisti. Un sistema basato su un numero ristretto di varietà, invece, è molto fragile.

L’episodio più famoso è la carestia irlandese di metà Ottocento (la carestia delle patate): a partire dal 1845 un fungo attaccò le patate distruggendo l’intero raccolto per diversi anni e provocando la morte e l’emigrazione negli Stati Uniti di milioni di persone. Questo è successo perché, in Irlanda, si coltivava una sola varietà di patate, che è risultata vulnerabile alla diffusione di una patologia. La resistenza che ha permesso di rafforzare le patate irlandesi è stata individuata fra le migliaia di varietà di patate coltivate dai contadini delle Ande e del Messico.

Se non si fosse salvata quella biodiversità oggi le patate non sarebbero una delle principali colture del mondo.

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Ambiente

Per Slow Food un cibo di qualità è un cibo buono, pulito e giusto.

Un cibo è pulito se rispetta la Terra e l’ambiente, se non inquina, se non sperpera e non sovrautilizza risorse naturali durante il suo percorso dal campo alla tavola. Un cibo è pulito nella misura in cui la sua filiera risponde a certi criteri di naturalità, se è sostenibile. Se non mette a repentaglio la pulizia dell’aria, dell’acqua, del suolo e se, con la sua storia e la sua presenza, consente all’acqua, all’aria e al suolo di continuare a produrre vita.

Un cibo pulito non ha lasciato una scia di sporco dietro di sé: è quindi prodotto senza eccessivo uso di combustibili fossili, non ha causato deforestazione, non è stato trasportato dall’altro capo del pianeta, è di stagione e non ha imballaggi eccessivi. Non dimentichiamo che ognuno di noi, con le proprie scelte quotidiane, contribuisce alla salvaguardia del pianeta in cui viviamo.

Il consumatore deve diventare consapevole che i cibi “puliti”, anche se più costosi, sono essenziali per la salute propria e delle future generazioni.

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Cultura

Ogni paese ha una propria identità culturale, di cui il patrimonio gastronomico è parte integrante. Il patrimonio gastronomico è costituito da prodotti, tradizioni e saperi artigianali, frutto di migliaia di anni di presenza umana in un luogo specifico, ma anche degli scambi che le comunità locali hanno stabilito nel tempo con altri popoli. Il cibo fa tesoro di tutta la storia di un territorio e incarna la fusione di culture diverse nel corso dei secoli e attraverso di esso. Il patrimonio culturale legato al cibo è fragile e trasmesso di generazione in generazione, viene costantemente ricreato dalle comunità e fornisce loro un senso di identità e continuità. Data la sua fragilità, il patrimonio culturale gastronomico deve essere considerato un bene comune che va protetto, celebrato e goduto.

L’agricoltura industriale e la standardizzazione del gusto stanno cancellando molti cibi, insieme alla loro storia e cultura. Negli ultimi sessant’anni sono scomparse migliaia di specie, razze e varietà selezionate dall’uomo, ma anche alimenti trasformati – come pane, formaggi, salumi, dolci… La diversità alimentare è un patrimonio unico e prezioso: genetico ma anche culturale, sociale ed economico. Insieme al patrimonio genetico, perdiamo competenze, conoscenze, identità e compromettiamo le economie e le culture locali.

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Gusto

Il gusto, come ogni aspetto della cultura umana, è un prodotto della storia e si modifica nel tempo, così come è diverso nello spazio. Scelte, esclusioni e preferenze caratterizzano gli individui, i popoli e le regioni del mondo. Il gusto è sapore, sensazione individuale della lingua e del palato, esperienza per definizione soggettiva, sfuggente e difficilmente comunicabile. Ma allo stesso tempo è anche sapere, valutazione di ciò che è buono o cattivo, di ciò che piace o non piace. Si tratta di una valutazione cognitiva, perché qualcuno ci ha insegnato a riconoscere e classificare i sapori: in tal caso non è una realtà soggettiva, bensì collettiva e condivisa, è un’esperienza culturale, frutto di una tradizione e di un’estetica che la società trasmette dalla nascita.

Insieme al patrimonio genetico, cultura e ambiente svolgono un ruolo importante nel definire le nostre scelte alimentari.

Assaporare prodotti diversi, interpretati secondo molteplici tradizioni gastronomiche, aiuta a imparare e tramandare usanze e costumi che riguardano la nostra storia, la cultura del territorio, e della nostra famiglia. Coltivare la curiosità per i prodotti che non appartengono alla nostra tradizione contribuisce a stimolare la curiosità per ciò che è diverso, ad avvicinare altri mondi e, in ultima analisi, a comprendere la necessità di custodirli e raccontarli.

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